Testo Unico dell’edilizia: in sette tra regioni e province autonome largo spazio all’autonomia

Dia e permessi a costruire in libertà


Pubblicazione

Inchiesta per Il Sole 24 ore


Urbanistica in genere
Urbanistica in genere Appalti edili
Appalti edili Barriere architettoniche
Barriere architettoniche
L’autonomia regionale delle Regioni in campo di edilizia e urbanistica, riconosciuta dalla riforma del titolo V della Costituzione, è ormai una consolidata certezza, nonostante permangano conflitti di non poco conto con lo Stato, venuti a galla in modo evidente al momento in cui ci si è trovati ad applicare sul territorio le regole dell’ultimo condono edilizio. Nonostante ciò, non sono poi molte le Regioni che hanno varato una propria disciplina organica che deroghi o integri il Testo Unico dell’Edilizia (il Dpr 6 giugno 2001, n. 380), particolarmente nel campo degli assensi al recupero o alle nuove edificazioni, e quindi alla disciplina del permesso di costruire, della denuncia di inizio attività (la cosiddetta Dia) e dei cambi d’uso.

Tra di esse vanno distinte da una parte le regioni a statuto speciale e le province autonome che, come del resto riconosce lo stesso Dpr n. 380 “esercitano la propria potestà legislativa esclusiva, nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia”, e dall’altra quelle a statuto ordinario. Tra le prime si può dire che solo la Sardegna, la Val d’Aosta e le province di Trento e Bolzano sono dotate di uno strumento normativo del tutto alternativo al Testo Unico. Tra le seconde, solo Lombardia, Emilia Romagna e Toscana hanno varato una disciplina organica sostitutiva del Testo Unico, anche se Umbria e Campania hanno comunque operato nel campo dei permessi edilizi (vedi tabella).

Le altre regioni si sono limitate a normare in modo autonomo il campo più propriamente urbanistico (piano regolatore, regolamento edilizio, piani territoriali e paesistici) e sono intervenute in ambiti limitati dell’attività edilizia (per esempio quelli del recupero dei sottotetti, dell’abbattimento delle barriere architettoniche, dell’abusivismo edilizio, degli interventi nei centri storici, del recupero dei rustici).

Approcci differenti Le tre regioni a statuto ordinario che hanno partorito propri “Testi Unici” hanno agito con due diverse filosofie. Emilia Romagna e Toscana hanno rivoluzionato di più l’impianto normativo e quello delle procedure. Si è rifiutato per esempio il principio tipico del Dpr n. 380 secondo il quale per ogni opera che ha bisogno di assenso comunale si può richiedere il permesso di costruire, e che invece la Dia è un’alternativa percorribile solo a certe condizioni. Hanno invece preferito rendere la Dia obbligatoria per certe opere, e il permesso per tutte le altre. Viceversa la Lombardia ha recepito formalmente la disciplina nazionale, salvo precisarne alcuni punti oscuri, per poi creare una piccola rivoluzione “sul campo”, liberalizzando in modo più incisivo, per esempio, i mutamenti di destinazione d’uso o il recupero sottotetti.

Opere sottoposte a Dia. L’elenco delle opere soggette a Dia varia da regione a regione, pur comprendendo sempre gli interventi di manutenzione straordinaria e quelli di recupero e risanamento conservativo. In Toscana ed Emilia la Dia obbligatoria è prevista anche per quelli di ristrutturazione edilizia, mentre nelle regioni e province autonome occorre comunque la concessione. La Lombardia si adegua alla legge nazionale, che esclude la Dia solo in particolari casi. Tra le opere espressamente contemplate dalle norme regionali, le recinzioni e le cancellate, la realizzazione di parcheggi pertinenziali, i volumi tecnici a servizio degli edifici nonché le modifiche funzionali di impianti esistenti già destinati ad attività sportive, senza creazione di volumetria. Tutti questi lavori sono comunque esonerati dal versamento del contributo di costruzione. L’Emilia elenca anche l’edificazione di tutte le altre pertinenze , purché senza incremento oltre il 20% dei volumi e realizzate in zone che non siano tutelate.

Contributo di costruzione. La Val d’Aosta , il Trentino e l’Alto Adige pongono particolare attenzione al settore agricolo, esonerando dal contributo di costruzione anche i rustici asserviti alla conduzione del fondo e (i prime due) anche gli edifici funzionali all’esercizio delle attività agrituristiche. In provincia di Bolzano, però, il contributo non è dovuto per la costruzione della propria abitazione stabile nella misura massima di 495 m³, per gli interventi per l'ampliamento e la nuova costruzione di esercizi ricettivi e di somministrazione di pasti e bevande, per la cubatura di qualsiasi destinazione d'uso in zone produttive e per i volumi riservati al commercio al dettaglio.

Campo d’indagine. L’indagine di questa pagina del “Sole” limita il confronto tra nome regionali e statali a tre temi (campo d’azione di Dia e permesso di costruire, iter delle domande, mutamenti di destinazione d’uso), approfondendone solo alcun aspetti e rinviando a future analisi i numerosi altri (per esempio, la determinazione del contributo di concessione, il certificato di agibilità, il funzionamento degli Sportelli Unici dell’edilizia, l’abusivismo e le relative sanzioni).

Super Dia: l’approccio delle regioni

Le norme nazionali danno la possibilità di ricorrere alla Dia anche in caso di interventi di nuova costruzione, a patto naturalmente di assumersi tutti gli oneri previsti per il permesso di costruire (tra cui il versamento del contributo di costruzione). Gli interventi, però, debbono essere in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali o disciplinati da piani attuativi comunque denominati, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive.

Le norme toscane, in sostanza, si adeguano, parlando di aderenza ai piani attuativi e ai regolamenti urbanistici comunali (che, per la legge n. 1 del 2005 intervengono anche nella zonizzazione dell’attività edilizia). La legge lombarda invece ampia il raggio d’azione della cosiddetta SuperDia: essa può comunque sostituire il permesso, tranne che per gli interventi edificatori nelle aree destinate all’agricoltura e per le varianti volumetriche al permesso di costruire che ne alterino le prescrizioni e le volumetrie.

L’Emilia Romagna, infine, delega tutto ai comuni, i quali possono individuare gli ulteriori interventi che devono essere realizzati con denuncia di inizio attività e ne disciplinano i contenuti planovolumetrici, formali, tipologici e costruttivi.

La Super-Dia per le nuove costruzioni e le trasformazioni urbanistiche, così come delineata dalla legge nazionale, pur sveltendo le pratiche, presenta rischi per il committente e il professionista che lo assiste. Non si hanno infatti garanzie, nemmeno dopo che sono passati 30 giorni da quando hanno presentato la documentazione e si dà il via ai lavori. Infatti, se gli uffici comunali giudicano che siano state infrante delle norme, possono bloccare in ogni momento il cantiere e, addirittura, imporre la demolizione dell'opera anche dopo anni che è stata terminata ,oltre all'azione penale. Invece, ottenendo un permesso di costruire, il Comune resta responsabile: se infatti l'opera edilizia sarà giudicata in seguito abusiva, il cittadino può chiedere (ed ottenere) i danni dall'amministrazione pubblica. Per ovviare, parzialmente, a questo “buco” di responsabilità, i comuni stabiliscono spesso che : chi intende ricorrere alla Dia può presentare una sorta di progetto-preliminare, chiedendo ai funzionari addetti un parere di conformità “non ufficiale”, nonché sollecitando consigli su quali eventuali varianti da apportare.

Emilia Romagna

Permesso di costruire e Dia sono in Emilia due categorie autonome, a sé stanti. Per certe opere, si ricorre obbligatoriamente alla Dia. Per altre, al permesso di costruire. L’iter per quest’ultimo è dimezzato, per un semplice motivo: se l’amministrazione non si esprime, anziché scattare il silenzio-rifiuto, scatta il silenzio-assenso. Proprio per questo non ha senso che esista un procedimento di appello presso lo Sportello Unico o la Regione, come regolamentato nel Testo Unico dell’edilizia o anche nelle norme toscane o lombarde. Non è finita: il responsabile del procedimento deve ottenere anche, nel tempo dei 60 o 120 giorni previsto, il parere della Commissione per la qualità architettonica del paesaggio, competente in sede comunale per i provvedimenti in materia di beni storici e paesaggistici. Se non ci riesce, convoca comunque la conferenza di servizi. Tuttavia i comuni hanno la facoltà di disciplinare in modo autonomo la procedura, fatti salvi i termini di 60-120 giorni per il parere e di 15 giorni dal parere stesso per il provvedimento finale.

Sostanzialmente in linea con la legge nazionale, invece, la procedura della Dia: E’ però, concesso di non rispettare il termine di ultimazione dei lavori precedentemente comunicato, ottenendo una proroga per una sola volta, a patto che siano intervenuti fatti estranei alla volontà dell'interessato e che la richiesta sia presentata prima della scadenza. Inoltre il responsabile del procedimento ha dieci giorni in più per cercare di ottenere assensi da altre amministrazioni: solo da allora scatta il periodo di trenta giorni previsto anche dalle norme nazionali per convocare la conferenza di servizi al fine di ottenere i pareri previsti per legge.

Sono sottoposti obbligatoriamente a Dia sia i cambi d’uso senza opere sia quelli, con lavori edili, avvenuti in conseguenza di varianti in corso d’opera, ma in questo caso a precise condizioni. Occorre conformità agli strumenti di pianificazione e alla normativa urbanistica ed edilizia, nessun aumento del carico urbanistico, ovvero scostamenti e aumenti di cubatura e di superficie fino al 10% e a 100 mq di superficie utile. Infine i cambi d’uso con opere sono soggetti, come in Lombardia, allo stesso titolo abilitativo previsto per l'intervento edilizio al quale è connesso. Tuttavia non costituisce mutamento d’uso la variazione entro il limite del 30 per cento della superficie utile dell'unità stessa e comunque compresa entro i 30 mq..

Toscana

Come in Emilia, la Dia e il permesso a costruire sono procedure alternative, a seconda del tipo di opere l’una o l’altro sono l’iter obbligatorio. E’ questa la regione che più di tutte si impegna nel regolare in dettaglio le norme edilizie, anche perché è anche l’unica che recepisce compiutamente nel proprio testo unico dell’edilizia il Durc, cioè il documento unico di regolarità contributiva introdotto nella legge n. 494/96 dal dlgs n. 276/2003, che va presentato in comune prima dell’inizio dei lavori unitamente ai codici di iscrizione identificativi delle posizioni dell'impresa presso Inps, Inail, Cassa Edile. Nei progetti che riguardano le coperture degli edifici, vanno applicate particolari misure protettive, con opere che spesso debbono restare permanenti, per facilitare successivi interventi: il regolamento di applicazione di questa disposizione è il decreto del presidente della Giunta n. 62 del 23/11/2005.

Tra le disposizione autonome, vi è il termine entro il quale si possono dare inizio ai lavori dopo la denuncia di inizio attività (20 giorni, anziché i 30 della legge nazionale ), nonché il limite di tempo dato per l’inizio del lavori stessi (un anno) , non previsto dalla norma nazionale, che parla solo di validità triennale della Dia. Le norme danno poi una spinta perché nei comuni si distingua tra manutenzione ordinaria interna ed esterna agli edifici, legando quest’ultima alla necessità di una denuncia di inizio attività quando il comune puntualmente lo imponga.

In Toscana, è poi previsto l’utilissimo parere preventivo prima della presentazione della Dia, che può essere ottenuto sia dal Comune che dallo Sportello Unico, e riguardare anche interpretazioni in materia sanitaria e ambientale

Al committente viene immediatamente comunicato il responsabile del procedimento, all’atto stesso del deposito della domanda (e non entro 10 giorni) .E’ resa più snella la disciplina delle varianti in corso d’opera. Quelle che comporterebbero una sospensione dei lavori hanno la precedenza anche sulle domande in data antecedente. La burocrazia è comunque ridotta al minimo anche per quelle senza sospensione dei lavori, purché siano conformi ai regolamenti edilizi e non prevedano assensi particolari: esiste solo l’obbligo del deposito del progetto come effettivamente realizzato.

Nell’iter del permesso a costruire, chi presenta una domanda corredata di tutta la documentazione, anziché costringere il responsabile a procurarsela, è di fatto privilegiato sui tempi dell’iter. Infine, non esiste la possibilità di raddoppiare da 60 a 120 giorni, i tempi per ottenere il nulla osta al permesso di costruire nei comuni con oltre 100 mila abitanti, come nel TU dell’edilizia, se non in caso di pratiche complesse.

Lombardia

Tra le regioni che hanno una disciplina autonoma, è quella che dal punto di vista puramente formale si attiene di più al dettato al Testo unico dell’edilizia. Sul piano pratico, però, è anche quella in cui l’attività edilizia è più liberalizzata. Per esempio, la divisione di un’unità immobiliare in due in tutte le altre regioni è soggetta al permesso di costruire e al pagamento dei relativi contributi di costruzione, sulla base del fatto che creerebbe un maggior carico urbanistico sul territorio: in Lombardia non è così, dal momento che essa è ricompresa tra le opere di manutenzione straordinaria, con assenso gratuito.

Più liberale è anche la disciplina dei mutamenti di destinazione d’uso, purché conformi alle previsioni urbanistiche comunali ed alla normativa igienico-sanitaria. Quelli senza opere edili , se su unità immobiliari con superficie lorda di pavimento non fino a 150 metri quadrati, sono attività edilizia libera. Sono sottoposti invece a una semplice comunicazione quelli che riguardano immobili con superficie maggiore. Anche i cambi d’uso con opere edili sono però liberalizzati, perché sono sottoposti agli stessi assensi e alle stesse regole previste per le opere che si sono rese necessarie: il che significa che, nella grandissima maggioranza dei casi, sono gratuiti. Quindi resta oneroso il cambio d’uso che comporti incrementi di superficie utile o di volumetria, o quello concesso in deroga alle norme comunali, magari dietro scambio con aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o comunque con monetizzazione del permesso stesso.

In Lombardia, poi, che il recupero abitativo dei sottotetti è concesso anche con l’innalzamento del colmo della copertura, al fine di raggiungere le altezze minime previste (disposizione, questa, prevista altrove solo in Liguria). Infine si chiarisce che le opere esterne agli edifici (per esempio il rifacimento delle facciate o dei tetti) possono essere considerate di manutenzione ordinaria (quindi senza necessità di assensi) anche qualora nei lavori si utilizzino materiali diversi, purché essi “risultino compatibili con le norme e i regolamenti comunali vigenti”.

Tra le disposizioni di minor conto vi è l’espressa esenzione da ogni burocrazia edilizia anche per i cantieri temporanei. L’iter burocratico del permesso di costruire ricalca in buona parte quello nazionale, salvo precisare in modo più pignolo la tempistica, laddove il Testo Unico dell’edilizia non si esprime. Per esempio, offre all’interessato un massimo di 30 giorni per esprimersi sulle richieste di lievi modifiche del progetto, pena il rifiuto dello stesso. Inserisce poi, tra i pareri prescritti, quello della Commissione Edilizia (se esistente nel comune). Infine il potere di ricorso amministrativo di seconda istanza è affidato non alla Regione, ma alla Provincia a patto che quest’ultima abbia varato il proprio PTCP (piano territoriale di coordinamento provinciale). Quest’ultima ha 30 giorni di tempo per la nomina di un commissario ad acta, che deve esprimersi entro i 60 Giorni successivi.

Sardegna

Le norme sarde sono ben poco mutate da trent’anni a questa parte: la regione autonoma, infatti, ha conservato in vita tutte le vecchie procedure edilizie, ormai abrogate dal T.U. dell’edilizia. Resta innanzitutto in vigore l’autorizzazione gratuita con silenzio assenso (opere realizzabili entro 60 giorni dalla comunicazione). Ma anche la relazione asseverata per le opere interne (che era stata introdotta dalla legge n. 47/1985) e la concessione, in luogo del permesso di costruire.

La denuncia di inizio attività è stata recepita all’interno della legge n. 23/1985, ma sotto forma un po’ incongrua: è facoltà del committente delle opere decidere se preferirla in alternativa all’autorizzazione edilizia (con esclusione delle opere di demolizione e delle esposizioni a cielo aperto, che cui l’autorizzazione resta l’unica strada percorribile). Nella prassi, ci risulta che la Dia si è affermata soprattutto nelle città, mentre i comuni più piccoli tendono talora a sconsigliarla caldamente.

Si ha mutamento di destinazione d’uso soggetto ad autorizzazione edilizia solo con e nel caso di variazione da residenza ad altre destinazioni, ovvero quando esso riguarda edifici siti in zone con vincolo paesistico, o in quelle altre parti del territorio comunale motivatamente indicate dal consiglio comunale. Quindi il passaggio tra una destinazione non residenziale e un’altra è di norma deregolamentato.

Val d’Aosta

Anche questa regione autonoma ha introdotto la Dia nel suo ordinamento, limitandola però a un preciso elenco di opere (tra cui anche le demolizioni di modesta entità e le intonacature con colori non conformi ai regolamenti comunali). La validità della Dia ha inoltre durata ridotta: infatti i lavori devono essere terminati entro un anno dal deposito della denuncia stessa (anziché entro tre).

In compenso le varianti in corso d’opera che non riguardino immobili vincolati e non modifichino in modo radicale il progetto (cambi d’uso, modifiche di volumi e superfici, alterazioni di sagome o altezze, numero di unità immobiliari) non sono soggette ad una vera e propria approvazione, ma solo a semplice denuncia da depositare in Comune prima della fine dei lavori stessi.

Gli immobili di fatto impiegati per usi diversi da quelli ammessi dal piano regolatore o dal piano territoriale paesistico non possono ottenere il cambio d’uso e possono essere sottoposti solo ad interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria o di consolidamento statico.

Provincia di Trento

La disciplina del rilascio delle concessioni edilizie differisce, ma non molto, da quella nazionale. Le principali peculiarità sono due. La prima è che resta a carico dell’interessato il recupero di documentazione e dei pareri previsti. La seconda è che il silenzio-rifiuto, benché resti la regola, ha un’eccezione: gli interventi da eseguire su aree dotate di un piano attuativo o di un piano di lottizzazione in vigore, per i quali vale invece il più favorevole silenzio-assenso.

Un aggravamento dell’iter edilizio rispetto a tutto il resto del territorio nazionale è che l’eliminazione delle barriere architettoniche non è considerata attività edilizia libera, ma va comunque sottoposta a Dia. Quest’ultima è prevista anche per la costruzione di depositi, serre, tettoie, per le sopraelevazioni e gli ampliamenti delle pertinenze (nel rispetto degli strumenti urbanistici), e per gli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva (ma a certe condizioni).

Provincia di Bolzano

Molto scarne le indicazioni date dalla legge urbanistica locale in Alto Adige. Alla Dia si accenna in un brevissimo articolo della legge urbanistica, nel quale ci si limita ad affermare che è facoltà dei regolamenti edilizi comunali determinare .quali opere vi siano sottoposte . Anche i tempi con cui viene scandito l’iter delle concessioni edilizie sono lasciati da determinare ai singoli comuni. Come in Sardegna, resta vigente la categoria delle “opere interne”, che sottopone a semplice relazione asseverata di un tecnico iscritto all’albo le opere realizzate all’interno degli edifici in conformità agli strumenti urbanistici, senza modifica della sagoma, aumenti di superfici utili o del numero delle unità immobiliari , senza pregiudicare la statica dell’edificio e, nelle zone A, con rispetto delle originarie caratteristiche costruttive.

Presupposto per la realizzazione di nuova cubatura residenziale resta la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e di quota parte di quelle necessarie per l'urbanizzazione secondaria, nonché la partecipazione alla spesa per le opere stesse.

Le Regioni con norme organiche che derogano dal Testo Unico dell’Edilizia





* Regolamento di esecuzione: Decreto presidente giunta 23/2/1998, n. 5
** Regolamento di esecuzione: Decreto presidente giunta 11/6/2003, n. 381
*** Regolamento di esecuzione dell’art. 82, comma 16: Decreto presidente giunta 23/11/2005, n. 62 (vedi anche Dgr n. 291/06)
Fonte: Ufficio studi Confappi-Federamministratori