Regioni e comuni in ritardo sui limiti all'inquinamento acustico

nquinamento acustico – Solo in alcuni casi gli enti locali hanno adempiuto agli obblighi normativi


Pubblicazione

Inchiesta per Il Sole 24 ore


Ambiente
Ambiente Urbanistica in genere
Urbanistica in genere Inquinamenti: acqua, acustico, amianto, aria, elettromagnetico, radon
Inquinamenti: acqua, acustico, amianto, aria, elettromagnetico, radon
Regioni in annoso ritardo sull’applicazione delle norme sull’inquinamento acustico dettate dalla legge n. 447/1995: una pessima prova sul campo della cosiddetta “devolution”, nonché della sensibilità ambientale degli enti locali. Ma anche nelle regioni in cui i compiti affidati dalle norme nazionali sono stati soddisfatti, per quanto in ritardo (come è accaduto per esempio in Lombardia, Emilia, Toscana o Lazio), la tutela per i cittadini non è spesso assicurata, perché è mancato l’indispensabile apporto dei comuni, senza il quale le norme anti-rumore restano solo sulla carta.

Oggetto di questa inchiesta è principalmente il ruolo enti locali e le norme emanate o da emanare per adempierlo: “glisseremo” quindi sugli adempimenti statali.

I compiti regionali più rilevanti sono dettare i criteri secondo cui i comuni debbono:

1) procedere alla classificazione acustica del territorio, fissando i termini entro cui dovrà divenire operativa;
2) stabilire norme particolari, quando il territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico-ambientale e turistico,
3) prescrivere criteri particolari per le attività temporanee e mobili all’aperto (cantieri, manifestazioni, eccetera);
4) adottare piani di risanamento acustico, qualora in certe zone i rumori superino di 5 decibel quelli previsti.

Inoltre le regioni debbono:

1) stabilire i criteri per la documentazione di previsione di impatto acustico, prevista per certe particolari attività (fabbriche, aeroporti, strade, discoteche, impianti sportivi, ferrovie, circoli ricreativi);
2) delegare eventuali compiti alle province;
3) organizzare il sistema dei controlli e delle sanzioni;
4) sostituirsi ai comuni, qualora siano inadempienti;
5) dettare le procedure per essere ammessi all’elenco regionale dei tecnici competenti in acustica.

Nelle tabelle in questa pagina abbiamo tentato una faticosa ricostruzione di quanto è stato fatto, fino ad ora, a livello regionale, per quanto ci è stato possibile, riportando anche i riferimento di delibere di giunta e circolari: un quadro non esaustivo ma senz’altro significativo e comunque utile anche per i professionisti, costretti spesso a un certosino lavoro sui bollettini ufficiali regionali per rintracciare le norme. E’ facile verificare non solo i notevoli ritardi dell’azione delle Regioni, ma il fatto che alcune di esse (Abruzzo, Calabria, Friuli e Molise, per esempio) restino, a un decennio dai termini ultimi previsti della legge nazionale sull’inquinamento acustico, del tutto prive di ogni strumento a proposito, mentre in altre le disposizioni normative sono ancora insufficienti.

Il principale compito dei comuni resta suddividere il loro territorio in zone, a ciascuna delle quali deve essere attribuita una delle sei classi acustiche previste dal Dpcm 14/11/1997 (protette, residenziali, miste, ad intensa attività umana, prevalentemente o esclusivamente industriali). A seconda della classe, è stabilito un limite massimo di emissione sia delle singoli fonti sonore che del loro insieme. Naturalmente gli strumenti urbanistici vanno adeguati alla bisogna. Vanno poi previsti piani di risanamento acustico per le zone che “sfondano “ i massimi di oltre 5 decibel. Infine i comuni con più di 50 mila abitanti devono redigere una relazione biennale sullo stato acustico.

Piuttosto sconfortante è lo stato dell’arte di quanto si è già fatto negli 8.100 comuni italiani. A titolo di esempio, una recente indagine (marzo 2006) condotta dalla regione Lombardia, tra le più sollecite a varare le norme quadro, ha evidenziato che su 1.537 comuni, solo 62 hanno adottato la classificazione acustica del proprio territorio, mentre altri 257 l’hanno solo approvata e tutti gli altri ne sono privi. Peggio ancora: in una metropoli come Milano, messa all’indice da un rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità come la città italiana con il maggiore inquinamento acustico, da anni si susseguono bozze di progetto che restano sulla carta. Più solleciti altri grandi centri che hanno gia adottato la classificazione acustica del loro territorio: per esempio Venezia (nel 2005), Roma e Firenze (nel 2004), Napoli e Messina (nel 2001), Genova (nel 2000), Cagliari (nel 1994, ma secondo le vecchie procedure). Esiti ancor peggiori per l’indagine sui piani di risanamento acustico (che, tra le grandi città, ci risultano approvati solo a Bologna e Firenze) e per la relazione biennale che, salvo errori o omissioni, pare redatta solo a Milano , Bologna e Firenze e, in queste ultime due città, non più aggiornata.


Legenda: Cir.= Circolare; Dgr= Deliberazione o decreto Giunta Regionale; Dpgp = Decreto Presidente Giunta Provinciale; Ddir= Decreto dirigenziale; L. = Legge; Reg.= Regolamento

Fonte: Ufficio Studi Confappi-Federamministratori


I decibel





Fonte: Elaborazione Confappi-Fna su dati Ministero della Sanità e Indagine dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul territorio italiano

Il mistero dei limiti

Come i tecnici acustici ben sanno, è complicatissimo far percepire a un inesperto il concetto di decibel, o meglio, la sua applicazione in pratica. I gradini della scala del rumore sono stimati in base a una progressione logaritmica e non lineare (come il metro o il litro), perdipiù armonizzata ulteriormente alla sensibilità media dell’orecchio umano. Ciò tra l’altro porta a una conseguenza: 80 decibel A (cioè armonizzati) non sono il doppio di 40, ma 86 o 90 possono essere percepiti come il doppio di 80. Il decibel stesso è “tarato” sulla base della percezione: è la variazione di rumore minima che è teoricamente percepibile in un laboratorio, se si è dotati di cuffie. Tuttavia in condizioni normali una persona può non sentire una differenza di 3 decibel, se essa si adegua al rumore di fondo, oppure avvertirla con fastidio, se invece stride con esso. Di più: né la somma di due rumori, ai fini del calcolo dei valori limite assoluti, né la loro differenza (ai fini del calcolo dei limiti differenziali) sono operazioni aritmetiche. Per esempio se due auto producono l’una 60 decibel di livello sonoro e l’altra 57,4 decibel, la somma del loro rumore totale, ai fini della percezione, può essere “solo” di 61,9 decibel, e la loro differenza di 1,9 decibel.

La legge sull’inquinamento acustico, che è una norma amministrativa, non poteva materialmente misurarsi con tali raffinatezze. Si è perciò scelto un metodo un po’ grossolano: in sostanza si considera raddoppiato il rumore se esso si incrementa di 10 decibel e si è deciso di “scalare” una zona acustica dall’altra in base a una differenza di 5 db di giorno e di 10 db di notte.
<


* Misurati in decibel (Lq in Db(A))

Legenda: Valori limite di emissione: il valore massimo di rumore che può essere emesso da una sorgente sonora, misurato in prossimità della sorgente stessa;
Valori limite assoluti di immissione: il valore massimo di rumore immesso nell'ambiente esterno dall'insieme di tutte le sorgenti;
Valori di qualità: i valori di rumore da conseguire nel breve, nel medio e nel lungo periodo con le tecnologie e le metodiche di risanamento disponibili, per realizzare gli obiettivi di tutela previsti dalla Legge Quadro.


Fonte: Elaborazione Confappi su Dpcm 14 novembre 1997



Emilia e Lombardia

Va “matematica “al punteggio

Emilia Romagna. Il territorio del comune viene suddiviso innanzitutto in Unità territoriali omogenee (Uto). L’assegnazione alle singole Uto di una delle 6 classi previste è, sostanzialmente, basata su valutazioni discrezionali per quanto riguarda le classi I, V e VI (aree particolarmente protette e aree prevalentemente o esclusivamente industriali), mentre si procede a calcoli per le zone acustiche II, III e IV (zone “ad uso prevalentemente residenziale” ,“di tipo misto” e “ad intensa attività umana”). Esse sono valutate secondo una somma di tre diversi punteggi, che variano da 1 a 3 punti. .primo è assegnato a seconda del numero di abitanti per ettaro, il secondo e il terzo a seconda della superficie delle attività commerciali e di quelle indistriali rispetto a quella dell’Uto .Per esempio se gli abitanti per ettaro sono 90, la densità delle attività commerciali è del 6%, e quella delle industrie del 2%, la somma dei punteggi sarà 2+2+2= 6 e l’area rientrerà nella classe III (tipo misto).

Lombardia. L’approccio “matematico” emiliano è in Lombardia rigettato, a favore di una valutazione più “spannometrica” che tiene conto, per le classi di più difficile assegnazione (II, III e IV), di 5 parametri (entità del traffico veicolare, presenza di attività commerciale o uffici, presenza di laboratori artigianali o piccole industrie, di arterie stradali o ferroviarie, densità di popolazione). Se tutti tali parametri sono stimati come bassi, attraverso una valutazione discrezionale, si assegna la Classe II; se almeno due sono elevati, la Classe III, altrimenti, la classe IV. Quest’ultima va comunque assegnata in caso di corrispondenza ad arterie di grande scorrimento o linee ferroviarie. I casi dubbi possono essere risolti con rilevamenti fonometrici in postazioni chiave. Sono comunque da assegnare alla classe I (zone protette) i complessi ospedalieri, i complessi scolastici o poli universitari, nonchè i parchi pubblici di scala urbana, purchè privi di infrastrutture per le attivita` sportive.

Piemonte e Campania

Strade e ferrovie fuori dai conti

Piemonte. I criteri di attribuzione delle classi sono delineati molto approssimativamente, mentre grande attenzione è posta a evitare un’eccessiva parcellizzazione del territorio. In particolare, sono nettamente escluse dalla classificazione del territorio le grandi arterie veicolari e ferroviarie, che “sballerebbero” le ripartizioni zonali. Peresse si procede a parte, creando apposite “zone cuscinetto”, con una classe propria. Queste ultime sono create anche qualora due zone acustiche confinanti differiscano l’una dall’altra di più di 5 dbA (decibel armonizzati), e consisteranno in strisce di territorio dai confini paralleli distanti almeno 50 metri l’uno dall’altro. Le zone acustiche non debbono comunque essere inferiori a 12 mila metri quadri: in caso contrario si procede alla loro unificazione, privilegiando in genere la classe ideale della zona con superficie maggiore.

Campania. Anche questa regione, come l’Emilia, si affida a parametri numerici (da 0 a 3) per distinguere tra aree residenziali, miste e a ad intensa attività umana, per quanto con criteri non oggettivamente misurati, ma dipendenti dall’impressioni dei funzionari addetti. Si prendono in considerazione quattro variabili: la densità di popolazione, quella di esercizi commerciali, quella di attività commerciali e il volume di traffico. A ciascun valore basso è dato il “voto” 1, a ciascuno medio il voto 2, a quelli alti il voto 3, a un valore inesistente, il voto 0. Tutte le zone la cui somma dei punteggi è minore o uguale a 4, finiscono in classe II, quelle la cui somma è tra 5 e 8 passano in classe III e infine quelle con voti compresi tra 9 e 12 vanno in classe IV.

Per valutare la densità abitativa si consiglia di porre tra le aree a bassa densità quelle prevalentemente a villini con non più di tre piani fuori terra, a media densità quelle che hanno soprattutto palazzine con 4 piani ed attico e ad alta densità quelle con molti edifici con più di cinque piani. Le aree rurali con intensa utilizzazione. dimacchine agricole vengono inserite d’ufficio in Classe III. Le aree portuali, le aree circostanti gli aeroporti, i poli di uffici pubblici, di istituti di credito, i quartieri fieristici e i centri commerciali vanno in Classe IV.