Decoro architettonico: un vademecum per le liti


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Articolo per Il Sole 24 ore


Condominio - parti comuni
Condominio - parti comuni
Definizione fuori di moda, con un pizzico di sapore ottocentesco, quella di “decoro”. Con un eccezione: quella delle assemblee di condominio, dove la magica espressione “decoro architettonico” viene invocato a gran voce da colti e incolti. Il termine, tratto dalle norme sul condominio nel codice civile, viene citato talvolta correttamente, ma spesso anche a sproposito, per giustificare draconiani e inutili divieti al singolo proprietario a fare alcunché, dal mettere un vaso di fiori sul terrazzo a schermare con una tenda una finestra.
L’equivoco nasce dal fatto che molti pensano che con decoro si intenda una valutazione artistica dell’aspetto dell’edificio. Se un’aggiunta, o una trasformazione, a loro personale giudizio “stanno male”, non possono essere eseguite. O, tuttalpiù, debbono ricevere l’assenso dell’assemblea condominiale.
Entrambe queste convinzioni sono, come vedremo, sbagliate, perché figlie di una concezione dittatoriale del condominio. Che è questa: in un palazzo si possono fare solo i lavori su cui i vicini sono d’accordo, soprattutto se toccano le parti che sono di proprietà comune. La legge, o meglio l’articolo 1102 del codice civile, capovolge invece questo tipo di filosofia. Dice cioè che il singolo può eseguire tutte le opere che desidera, anche se toccano le parti comuni dell’edificio. A un patto: che non metta in crisi certi precisi diritti degli altri condomini. Tra cui, appunto, quello della tutela del decoro architettonico.
L’estate, che porta l’afa, è una stagione particolarmente favorevole a liti in proposito. Le temperature africane dello scorso anno hanno convinto molti a installare nuovi impianti di condizionamento. La conseguenza è stato lo spuntare, sulle facciate dei palazzi, degli ingombranti e inestetici apparecchi che pescano l’aria dall’esterno, e diffondono quella calda e viziata presa dagli appartamenti.

I casi più comuni di liti sul decoro

- Nuovi infissi metallici alle finestre
- Installazione di tende, veneziane o verande sui balconi
- Apertura di lucernari o mansarde nei tetti
- Installazione di antenne
- Apertura di finestre, portefinestre o porte nei muri comuni
- Costruzione di balconi
- Installazione di scarichi esterni
- Installazione di unità esterne del condizionatore d’aria
- Apposizione di fioriere
- Armadietti metallici, caldaie o contatori del gas sul balcone
- Sopraelevazioni degli edifici
- Nuova ringhiera al balcone
- Cartelloni pubblicitari
- Fonte: Ufficio Studi Confappi-Federamministratori

Definizione di decoro.
Con “decoro architettonico” è stato intenso dai giudici “ l’estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture che ne costituiscono la nota dominante e imprimono alle varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica, fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico”. In questo senso qualsiasi palazzo ha un suo decoro - anche una brutta torre in edilizia economica popolare innalzata nel periodo della ricostruzione bellica. Un caso immediatamente intuitivo di lesione del decoro sarebbe, per esempio, l’apertura di una nuova finestra fuori squadra con quelle esistenti, o la costruzione di un balcone che spunta inopinatamente da una facciata liscia, foss’anche opera di un estroso architetto di grido.
Non è quindi il tipo di opera che conta, ma come essa si inserisce nel contesto estetico dell’edificio. Per esempio un lucernario sul tetto, soprattutto se tale apertura è eseguita con materiali e colori che si “sposano” con le tegole esistenti, è raramente valutata come lesione. Tuttavia può ben darsi che la lesione esista, per esempio, se il lucernario è praticato sulla copertura di tegole in cotto di un palazzo secentesco (anche non vincolato), e il tetto è ben visibile dal vialone d’onore che conduce all’edificio.
Condizioni per l’azione
La Cassazione ha ulteriormente precisato quali sono le condizioni perché esista lesione al decoro, così come inteso dal codice civile. E cioè:
- la lesione deve essere “apprezzabile”, se non proprio “appariscente”. Per esempio, è dubbio che sia lesione disporre un armadietto in metallo per le scope sul balcone più alto di un condominio popolare, dove è appena possibile intravederlo. Viceversa, installare un’unità esterna per il condizionamento direttamente sulla facciata sul lato strada, è in genere considerata lesione apprezzabile;
- si deve creare un pregiudizio economico, cioè una diminuzione del valore commerciale dell’edificio e di ciascuna unità immobiliare;
- se la lesione del decoro esiste, ma è lieve, non deve essere compensata da una qualche utilità concreta a vantaggio di tutto il condominio;
- la lesione deve essere permanente (non lo è il fatto di stendere dei panni sul balcone condominiale, pretura di Pisa, 3 maggio 1993);
- l’unità di linee e di stile non deve essere già stata rovinata da precedenti interventi di un certo rilievo. In tal caso infatti non si può parlare più né di decoro né di reale pregiudizio economico.
E’ interessante, a questo proposito, ricordare una recente sentenza della Cassazione (n. 16098 del 2003), che riguardava la citazione in giudizio di un condomino, che aveva realizzato una veranda a copertura del balcone. Sia in primo grado che in appello i giudici gli avevano dato torto, praticamente senza argomentazioni, in quanto avevano affermato che la realizzazione della veranda “era illegittima in sé”. La Cassazione ha rinviato invece la causa alla Corte d’Appello, perchè il giudizio era insufficientemente motivato: infatti il condomino affermava, e i giudici non avevano negato, che altre alterazioni della facciata, e di ben altra dimensione, erano state realizzate nel tempo. Perciò il decoro era ormai rovinato. La Cassazione ha anche negato che il condomino dovesse provare che tali alterazioni fossero state realizzate in tempi anteriori a quelle della costruzione della veranda.
Divieti nel regolamento condominiale.
Le condizioni in base alle quali la legge autorizza l’azione di tutela del decoro possono essere ampliate dal regolamento condominiale contrattuale (cioè da quello approvato da tutti, in genere al momento dell’acquisto dell’appartamento). Pertanto è ben possibile che tale regolamento vieti, per esempio, le veneziane o gli armadietti sui balconi, o addirittura si spinga fino a impedire ogni tipo di alterazione nelle linee della facciata o nelle coperture del tetto, perfino quando l’intervento possa essere giudicato un miglioramento dell’estetica del palazzo (Cassazione, n. 7398/1996).
Maggiori incertezze esistono sul fatto che lo stesso divieto possa essere posto da un regolamento assembleare, cioè votato a maggioranza degli intervenuti in assemblea e delle quote. La Cassazione, a questo proposito, si è espressa in modo contraddittorio (per esempio nelle sentenze n. 8731 del 1998, e n. 5065/1986). Un interpretazione probabile sarebbe che il regolamento assembleare non può proibire l’esercizio di un diritto che normalmente spetta al proprietario, ma può determinare le modalità con cui tale diritto può esercitarsi. Facciamo un esempio pratico: non potrà dire “no alle tende sui balconi”, ma potrà definirne le proporzioni, i materiali e i colori.
L’assenso dell’assemblea condominiale.
Nei regolamenti, condominiali o contrattuali che siano, è spesso contenuta una clausola: chi deve eseguire dei lavori che potrebbero ledere il decoro deve chiedere l’assenso dell’assemblea condominiale. Si è molto discusso nei tribunali sul fatto se fosse possibile imporre tale obbligo. La Cassazione, con il formalismo giuridico che la contraddistingue, ha risolto il problema alla maniera di Pilato: la richiesta di assenso va comunque fatta, perché la prescrive il regolamento. Tuttavia la risposta dell’assemblea conta poco. Infatti se i condomini, a maggioranza, dicono “sì”, resta possibile anche a un solo dissenziente ricorrere in giudizio per tutelare il decoro che ritiene leso. D’altra parte, se l’assemblea dice “no” e né il decoro né gli altri diritti dei condomini vengono messi in pericolo, chi vuole eseguire le opere può dare il via ai lavori lo stesso, o in alternativa impugnare la delibera davanti al giudice. A suo rischio e pericolo, naturalmente. Quindi la richiesta di assenso diviene un obbligo necessario, ma di tipo squisitamente burocratico.
Chi può agire e come.
L’azione di tutela del decoro può essere esercitata dall’amministratore del condominio, preferibilmente con l’autorizzazione dell’assemblea. Ma legittimato ad agire è anche ogni singolo condomino, autonomamente.
Secondo la Cassazione (sentenza n. 805/1985) è possibile che all’amministratore si dia l’incarico non solo di promuovere una causa civile, ma anche di sollecitare interventi presso il Comune o presso il giudice penale, senza che si possa parlare di azione che esorbita dai suoi poteri.
Termini di prescrizione.
L’azione a tutela del decoro, che è una manifestazione del diritto di proprietà, non ha termini di prescrizione. Tuttavia, se provato, scatta il diritto di usucapione: cioè chi ha leso il decoro dopo vent’anni ha la possibilità di mantenere la costruzione come l’ha realizzata (Cassazione, n. 7727/2000).
Chi decide.
Le controversie sul decoro non sono da considerare relative “alle modalità d’uso o alla misura dei servizi condominiali”. Perciò la competenza a decidere non è per forza del Giudice di Pace. Lo è solo se il valore stimato della causa è inferiore a 2.582,28 €, altrimenti va al Giudice Unico. (Cassazione, n. 10519/1993).
La valutazione è rimessa alla corte di merito, mentre la Cassazione non ha la possibilità di mettere in dubbio la sentenza, se adeguatamente motivata. E‘ evidente, quindi, che la valutazione del giudice riguarda apprezzamenti estetici e di valore, ed è quindi “discrezionale”: in situazioni simili due magistrati diversi possono decidere in modo esattamente opposto.
Concorso con altre norme.
Un intervento, soprattutto se innovativo, può non ledere il decoro di un edificio ma mettere in pericolo altri diritti dei condomini. Un esempio è quello di veduta: una tenda può impedire il diritto a sporgersi dal balcone e guardare a piombo..
Vietate dall’articolo 1120 del codice civile sono poi le innovazioni che pregiudicano la statica dell’edificio e quelle che rendano inservibile all’uso o al godimento di un solo condomino le parti comuni.
Infine, per l’articolo 1102 del codice, l’uso singolo delle cose comuni è ammesso solo se non si impedisce ad altri di farne “parimente uso”. Per esempio non sarà possibile per un solo condomino porre vasi lungo tutto un ballatoio comune, impedendo ad altri di scegliere piante diverse. Tuttavia, la Cassazione ha spiegato che l’uso consentito non è necessariamente identico per ciascun condomino. Nello stesso ballatoio, quindi, se non si altera il decoro architettonico, uno metterà delle piante e un altro un armadietto.
Diritto di antenna
Un caso specifico riguarda il diritto di antenna, garantito dalla Costituzione. L’articolo 21 tutela infatti la libera manifestazione del pensiero"con ogni mezzo di diffusione”, compresa la televisione e le radio ricetrasmittenti degli amatori. Il diritto di antenna prevale su quello al decoro e non può essere messo in dubbio nemmeno. da un regolamento condominiale contrattuale. Resta possibile prevedere in un regolamento, anche solo votato a maggioranza degli intervenuti in assemblea e delle quote, opportune indicazioni su dove le antenne possono essere dislocate e dove no. Così il diritto all'informazione è comunque garantito.